Esiste un punto d’osservazione privilegiato ed è il finestrino di un vagone del treno diretto verso la Galilea delle genti, luogo di feconda quotidianità e semplice verità.
In questo spazio ristretto e sospeso tre donne s’incontrano e scrivono la storia futura: Gea, Rachele e Maria Maddalena.
Gea ha in gestazione una creazione nuova e rinnovata ma geme e soffre le doglie del parto (Rm 8,22), Rachele «piange lacrime amare, non vuole essere consolata per i suoi figli, perché non sono più» (Ger 31,15) e Maria Maddalena si dispera davanti ad un sepolcro vuoto.
Gea vorrebbe ritornare all’incanto e lo splendore delle origini, sente un bisogno di cura e di liberazione dalle continue incursioni del genere umano, per troppo tempo è stata sfruttata con avidità; Rachele ha il volto emaciato dal dolore per la morte che colpisce senza pietà e senza chiedere il permesso e Maria Maddalena soffre per non poter dare un ultimo saluto a chi ama, non sa nemmeno dove viene portato, non ha una tomba su cui sostare.
Qualcosa le accomuna: il profondo desiderio di un’epifania di vita in questo tempo malato, lacrime che vengono asciugate da un sudario adagiato in questo vuoto che è distanza e disincanto.
Il loro dolore si trasfigura perché l’ultima parola è risurrezione: un amore troppo grande per non essere accolto, un abbraccio infinito che grida “Non temete”. Ecco l’uomo!